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L' ultimo brigante

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I piccoli comuni agricoli dell’interno della Sicilia, sul finire del 1800 erano isolati ed immersi in uno spazio sconfinato costituito dai Feudi. Si trattava di grandi aziende agricole aventi notevolissima estensione: la maggior parte d’esse contava dai 500 ai 1000 ettari, ma erano frequenti latifondi di 1000 e 2000 ettari, e più raramente di ben 6000 ettari ed oltre. Un vertiginoso mare coltivato prevalentemente a cereali, puntellato da rari caseggiati, centri organizzativi della vita del feudo. Raramente vi risiedeva il proprietario, solitamente un nobile con palazzo nel capoluogo dove menava vita da sfaccendato gaudente; le terre venivano date in gestione ad un gabellotto, che corrispondeva al proprietario un canone annuo e si circondava, per la sicurezza personale, ma anche quale forza repressiva nei confronti del miserabile villano, di campieri – da due a quattro per masseria – reclutati tra chi evidenziava attitudine alla violenza ed al crimine. La struttura del latifondo fu il terreno ideale dove si svilupparono i fenomeni del brigantaggio e della mafia nascente. Francesco Paolo Varsalona – malvivente del quale Vito Lo Scrudato ricostruisce le gesta – aveva quarant’anni quando nel passaggio dal diciannovesimo al ventesimo secolo, trionfava, monarca sui generis, brigante modern style, signore del delitto, su un vasto comprensorio della Sicilia interna, la Sicilia del latifondo setacciata dai Reali Carabinieri, dalle guardie di Pubblica Sicurezza, dai Bersaglieri e dai militi a cavallo che davano la caccia a briganti e latitanti renitenti alla leva, la Sicilia della mafia che si radicava e saldava un patto d’alleanza con gli agrari e con la politica da questi espressa.

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2004, paperback

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